Mondragone, Monastero Sant’Anna de aquis vivis, Rocca Montis Dragonis e ritorno (Sentiero degli Dei Casertano)
Il sentiero ben segnalato che dal Monastero di Sant’Anna de aquis vivis, sul monte Crestagallo, conduce alla Rocca Montis Dragonis, sul monte Petrino, è conosciuto anche come sentiero degli Dei Casertano e si dipana nel territorio del comune di Mondragone.
La variante che ti proponiamo qui parte, in realtà, quasi 1,5 km prima del Monastero. Lasciamo, infatti, le auto circa a metà della strada asfaltata che dalla chiesetta del Belvedere, a valle, sale sul monte Crestagallo, percorrendola fino ad incontrare la sbarra che chiude il passaggio. Iniziamo, quindi, l’ascesa proseguendo per la strada asfaltata dalla quale già si ammira il panorama sul litorale Domitio, panorama che ci accompagnerà piacevolmente per tutto il cammino.
Il Monastero di Sant’Anna de aquis vivis
Dopo circa un chilometro e mezzo di agile ascesa e subito dopo la fine del tratto asfaltato, arriviamo ai ruderi del Monastero di Sant’Anna de aquis vivis risalente al XIV secolo nel suo impianto originario.
L’insediamento nasce con la costruzione di umili celle da parte di pochi eremiti che si erano trasferiti in questo luogo verso la fine del XIII secolo D.C. Nel volgere di pochi anni fu edificata una piccola chiesetta dedicata a Sant’Anna. Tuttavia, la prima tappa importante per lo sviluppo dell’insediamento fu la donazione, nel 1325, di un ampio appezzamento di terreno agli eremiti da parte della Regina consorte di Napoli, Sancha d’Aragona moglie di Roberto d’Angiò. Con l’aumento del numero degli eremiti, la crescente comunità decise, prima, l’affiliazione all’ordine religioso dei Benedettini e, nel 1342, di ampliare l’insediamento originario con la costruzione di un vero e proprio monastero. Con lo sviluppo dell’abitato nella parte pianeggiante del territorio, il Monastero iniziò un lento ma costante declino al quale non hanno posto freni neanche i lavori di recupero iniziati negli anni 2000 ma mai terminati.
Oggi la struttura si presenta sostanzialmente abbandonata. Solo la chiesa, cui si accede attraverso un imponente arco in pietra, conserva ancora sufficienti vestigia dell’antica struttura con la sua pianta a croce latina, un’unica navata e tre absidi. Fiori, ornamenti sacri e vecchie foto testimoniano che il luogo è ancora vissuto dai fedeli. Inoltre, sono ancora visibili i resti del monastero e qua e la è possibile individuare la pianta del chiostro e degli altri corpi di fabbrica che costituivano il complesso.
Poco distante dal monastero, oltre l’abside della chiesa, sorge la colombaia, struttura a forma di torre utilizzata per l’allevamento dei colombi. Nei pressi vi è anche una vasca di raccolta acque di una sorgente perenne che da il nome al monastero (de aquis vivis o delle acque vive) e alla quale sono attribuite proprietà miracolose.
In cammino verso il Giardino Segreto
Terminata la visita del complesso monastico, o meglio di ciò che ne resta, proseguiamo la nostra camminata lungo il sentiero degli Dei casertano. Prendiamo il sentiero in terra battuta alla sinistra del convento e proseguiamo l’ascesa del monte Crestagallo. Ora la pendenza è maggiore ma mai particolarmente ostica. Un chilometro circa di strada in terra e sassi ci separa dalla prossima tappa, il Giardino Segreto.
Il luogo, chiaramente indicato da un cartello, è costituito da un piccolo altipiano nel quale spiccano cipressi e altri alberi in un panorama sostanzialmente brullo. La vista spazia dal golfo di Gaeta a destra al Vesuvio a sinistra e domina l’intero litorale domitio. Il profilo di Ischia, come una sirena distesa sul mare, è proprio innanzi a noi. E’ facile, quindi, capire perché i monaci si recassero proprio qui per meditare e dedicarsi alla coltivazione delle erbe.
Facciamo una breve sosta per rifocillarci e riprendiamo il cammino.
Si prosegue verso località Campetto
Ripreso il cammino attraversiamo una piccola valle che un cartello ci informa essere denominata degli Asfodeli. In poco più di mezzo chilometro arriviamo sulla sommità di un altro colle, il punto più alto del percorso, dal quale è possibile riaffacciarsi sul litorale. A scanso di equivoci un cartello indica “terrazza panoramica” ed è difficile dargli torto. Inoltre, da qui, è possibile seguire con lo sguardo quasi tutti i tre chilometri che ci separano ancora dalla Rocca, aggrappata al monte Petrino.
Riprendiamo il cammino seguendo le indicazioni per “i Pini” e “Campetto”. Ora il sentiero è tutto in discesa, più o meno sassoso. Seguiamone i tornanti fino a scorgere, sulla nostra sinistra, una casa semi abbandonata e, più in lontananza, un tratto di strada asfaltata. Questa è località Campetto. Raggiungiamola tenendo la sinistra e apprestiamoci alla salita finale sulle pendici del monte Petrino.
In cima al monte Petrino e la Rocca Montis Dragonis
La salita del monte Petrino è abbastanza agevole anche dopo i 5 km già percorsi. E’ lunga circa un chilometro e il tratto più ripido sono gli ultimi 500 metri già all’interno della prima cinta muraria.
La Rocca Montis Dragonis è, infatti, enorme. Sebbene sia in uno stato di abbandono e degrado piuttosto pronunciato, sono ancora visibili tratti delle ben tre cinta murarie che la circondavano, oltre ad un torrione circolare, resti dell’imponente edificio principale e poi cisterne e altri resti sparsi. In genere il complesso è accessibile ma lo stato di abbandono e la presenza di numerose cisterne consigliano attenzione. Seguiamo le segnalazioni in vernice rossa e teniamo gli occhi aperti.
Gli scavi archeologici, i più importanti svoltisi tra il 2003 e il 2009, hanno permesso di riportare alla luce i tre insediamenti principali che formano la Rocca. Il primo è costituito dal grande edificio ancora ben visibile sulla sommità del monte e da un ampio cortile sul quale insistevano strutture più piccole. E’ racchiuso da una prima cinta muraria di cui fa parte un torrione circolare. Sul lato orientale, quindi verso l’interno, è stato rinvenuto un piccolo borgo con una chiesetta ad una sola navata anch’esso racchiuso da un’ulteriore cinta muraria. Sul versante sud, infine, è stato rinvenuto un altro villaggio. Tutto il vasto complesso è circondato da una terza linea di fortificazioni di cui rimangono solo alcuni tratti in vero assai impressionanti.
Qualche cenno storico sulla Rocca Montis Dragonis
La storia dell’insediamento è antichissima. Infatti, ben prima della nascita del castello medievale, sul luogo insisteva già un insediamento abitativo denominato, suggestivamente, villaggio dei Ciclamini. Siamo tra il IX e VII secolo A.C.
Successivamente, furono gli abitanti della vicina colonia romana di Sinuessa a trasferirsi sul monte Petrino a seguito della caduta dell’Impero.
La prima costruzione dell’area fortificata si deve, invece, ai Longobardi di Capua nel X secolo D.C. Tra un ampliamento e l’altro, la Rocca Montis Dragonis con i suoi villaggi ha attraversato tutte le dinastie e le dominazioni che hanno caratterizzato la storia di Napoli e del sud Italia. Così, dopo i Longobardi, sono arrivati i Normanni, poi gli Svevi, dopo ancora gli Angioini e infine gli Aragonesi. E’ sotto questi ultimi che la Rocca perde la sua importanza strategica difensiva facilmente immaginabile data la posizione di controllo su tutto il litorale domitiano. Così gli abitanti iniziarono a trasferirsi nella sottostante pianura dando vita al villaggio di Casale Sant’Angelo che poi divenne Mondragone.
Torniamo a noi e al nostro Sentiero degli Dei Casertano. Approfittiamo dell’ampio spiazzo pianeggiante proprio sulla sommità del monte Petrino, in prossimità della costruzione principale, per fare la pausa pranzo e rifocillarci a dovere.
E ora il ritorno sul sentiero degli Dei casertano
Riprendiamo la strada del ritorno ripercorrendo in senso inverso lo stesso percorso dell’andata. Scendiamo dalla Rocca fino a località Campetto. Da qui, e per i prossimi due chilometri fino alla terrazza panoramica già incontrata in precedenza, ci aspetta solo salita. Circa 200 metri di dislivello abbastanza faticosi. Poi, raggiunti i 458 metri della vetta, ci aspetta solo discesa. Ecco il giardino segreto e poi il monastero di Sant’Anna. Infine, dopo gli ultimi tornanti asfaltati, rieccoci alle macchine.